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Pare proprio che il mondo intorno a noi stia prendendo seriamente 'sta cosa della settimana corta. Vi abbiamo già parlato di come sta procedendo in Scozia, dell'idea messa in atto dal Belgio, del successo dell'esperimento islandese. In Italia, invece, siamo messi malino. Al di là di qualche iniziativa personale (che tra l'altro sta andando pure bene), l'idea di un modello lavorativo diverso, basato su obiettivi più che su orari, non sembra prendere piede. Perché? Qui da noi non funzionerebbe? E l'idea americana delle ferie illimitate invece? Potrebbe funzionare anche da noi? Figa, troppe domande senza risposta. Tocca fare una call a qualcuno che ne sa, e provare a capirci qualcosa. Ecco perché abbiamo fatto due chiacchiere con Alessandro Raguseo, fondatore di Reverse, azienda internazionale di headhunting e consulenza HR. 

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Alessandro Raguseo, fondatore di Reverse

Dottor Raguseo, ci illumini lei. La sensazione è che la pandemia stia velocizzando un processo già in atto nel mondo del lavoro, quello del passaggio da un modello rigido a uno più flessibile. È così?

Sì, è corretto. Sicuramente la pandemia ci ha costretto a fare i conti con una situazione che comunque era inevitabile. La tecnologia oggi ci permette di essere connessi in qualsiasi momento e da qualsiasi luogo e non ha più molto senso misurare la produttività con le 8 ore lavorative in cui i dipendenti stanno seduti alla propria scrivania in ufficio. Il lavoro si sta evolvendo verso una concezione sempre più per obiettivi. Il 31 marzo scadrà lo stato di emergenza e con lui l’obbligo a preferire lo smartworking: sarà proprio in quel momento che le aziende saranno chiamate davvero a riconsiderare dinamiche di lavoro agile.

Belgio, Scozia, Irlanda sono solo alcuni degli stati che hanno deciso di sperimentare la settimana corta, seppur in modi diversi. In Italia, al di là di qualche singola iniziativa, siamo ancora indietro anni luce. Why?

Il nostro Paese in generale è solitamente restio ai cambiamenti. Io comunque non sono un gran sostenitore di questa soluzione, perché si tratta sempre di una concezione del lavoro per ore e non per obiettivi. Ritengo infatti che la vera conquista non sia avere un orario di lavoro ridotto, quanto essere sempre più responsabilizzati al raggiungimento dei propri obiettivi indipendentemente da quanto tempo sia necessario.

Ah ecco. E in Reverse come siete messi, avete attuato modelli di lavoro agile?

Sin dalla nascita di Reverse abbiamo messo in pratica un modello che prevede orario flessibile e smartworking libero, anche in tempi pre-pandemia in cui lo smartworking non era così diffuso. E questo non perché ci piaccia adottare politiche hippie ma perchè a monte abbiamo organizzato il lavoro di ognuno per obiettivi, in maniera scientifica e basata su dati. Se ogni Reverser ha chiari quali sono i suoi obiettivi di quarter, li ha concordati insieme al suo manager e ha numeri chiari che gli dicono se l'obiettivo è raggiunto o meno, allora non ci interessa sapere se in questo momento è al mare o in montagna. 

Ferie e permessi illimitati: è una roba fattibile in Italia? Pro e contro?

La scelta aziendale di prevedere ferie e permessi illimitati funziona quando l’azienda si basa su una solida cultura per obiettivi e non per ore lavorate. Purtroppo le aziende italiane non hanno ancora sviluppato in modo abbastanza forte questa concezione e oggi probabilmente solo un 1% delle imprese del nostro Paese potrebbe adottare una scelta di questo tipo. Se l’azienda è ancora molto lontana dall’avere un team di persone allenate al lavoro per obiettivi o non allineate con lo scopo e i valori che l’azienda si è data, il rischio principale è che i dipendenti ne approfittino semplicemente per lavorare meno. Se, al contrario, l’azienda è già allenata, i vantaggi sono decisamente maggiori dei rischi che diventano pressoché nulli. Si passerebbe infatti da una logica di controllo a un’altra di totale fiducia. 

Sarebbe un bel cambiamento per il dipendente medio.

Il collaboratore uscirebbe da un mindset per cui si deve sempre giustificare per ogni sua assenza, passando a un altro in cui sceglie in totale autonomia quando e per quanto tempo assentarsi. Ovviamente dopo aver stabilito preventivamente alcune regole condivise, per non generare problemi al resto del team.

Parlavamo di settimana corta, lei non è sembrato troppo entusiasta.

Sì, come accennavo prima, non credo che sia una soluzione funzionale. La settimana corta resta infatti un approccio al lavorare strutturato sul volume di ore. Se escludiamo le realtà lontane dalla produzione, la storia ha già dimostrato che non si tratta di un modello vincente perché rimanda a rivendicazioni sindacali dei secoli scorsi, che hanno avuto sicuramente un grande valore, ma che oggi risultano anacronistiche in uno scenario così profondamente mutato. I dipendenti potranno gioirne inizialmente ma la qualità del lavoro difficilmente migliorerà.

Intanto un botto di gente si sta licenziando, soprattutto giovani che cercano un miglior bilanciamento fra lavoro e vita privata ma anche maggiori soddisfazioni professionali. Hanno persino dato un nome al fenomeno, le Grandi Dimissioni.

Intanto mi piace pensare al fenomeno delle Grandi Dimissioni come a un fenomeno di Grandi Assunzioni. Basta cambiare prospettiva, perché inevitabilmente chi da un lato si dimette, dall’altro viene assunto. Secondo l’ultimo rapporto dell’Istat infatti i livelli occupazionali in Italia sono tornati ai livelli pre pandemia con un tasso di occupazione del 59%, mentre il tasso di disoccupazione al 9% è addirittura inferiore al 2019. Appare chiaro che le persone non stanno lasciando il lavoro per inseguire i propri sogni e dedicarsi alle proprie passioni, piuttosto hanno deciso di lasciare l’attuale posto di lavoro per uno migliore. Soprattutto la generazione dei giovani tra i 26 e i 35 anni ha nuovi bisogni che non si possono ignorare e le aziende che non restano al passo rischiano di perdere grosse opportunità dal punto di vista delle risorse e, di conseguenza, da quello economico.

Come si evolverà il mondo del lavoro nei prossimi anni, riesce a immaginarlo?

Quello che mi auguro è che anche in Italia si giunga finalmente al concetto che, non importa quante ore un dipendente lavori in un giorno se raggiunge tutti gli obiettivi aziendali prefissati. Le aziende italiane non hanno ancora sviluppato una cultura abbastanza forte del lavoro per obiettivi ma le nuove generazioni lo esigeranno sempre di più. Fondamentale è l’investimento in tecnologia. Non è pensabile che al lavoro i dipendenti si servano di tecnologie più obsolete rispetto a quelle che utilizzano nella quotidianità. E poi servirà aumentare l’attenzione ai dipendenti in quanto persone. È necessario che i capi diventino sempre più buoni allenatori e che inizino a considerare i lavoratori come persone adulte non da controllare ma da guidare, prestando attenzione ai loro feedback e alla loro esperienza.

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