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Editorial
paninari

Rapido disclaimer in premessa: io i Paninari non li ho mai conosciuti, ma non so perché mi sono sempre stati simpatici.

Negli anni Ottanta, quando a Milano spopolava la sottocultura urbana paninara io ero troppo piccolo e forse troppo Giargiana per toccarla con mano, figuriamoci per capirci qualcosa.

Ai tempi però mi scompisciavo dalle risate guardando il Drive in sulle reti Fininvest. Praticamente durante ogni puntata a un certo punto scattava la parodia del personaggio paninaro interpretato da Enzo Braschi. Lui che entrava in scena sulle note di Wild Boys dei Duran Duran, vestito con il piumino Moncler di ordinanza e gli stivaletti Timberland, iniziava a snocciolare una serie di slang paninari: troppo giusto per l'acchiapation della sfitinzia, così loro chiamavano le ragazze, da scarrozzare chiaramente sul ferro (la moto). 

I Paninari erano in fissa per l'outfit, dei veri e propri maniaci della moda. Oltre ai marchi già citati sopra, come non parlare delle felpe Best Company o dei Levi's rigorosamente risvoltati per mostrare calze colorate e griffate. O ancora le polo Lacoste, le cinture El Charro, i Ray Ban indossati da Tom Cruise in Top Gun. Insomma, brand iconici che seppure in una diversa veste continuano ancora oggi a esistere.

I Paninari avevano dei riferimenti culturali statunitensi, oltre che per gli abiti anche per il cinema e la musica (erano gli anni dove iniziava a spopolare MTV), ma fondalmente erano molto italici, mi spingerei a dire proprio milanesi. Da non confondere assolutamente con gli arrembanti yuppies perculati dalla commedia all'italiana. 

I paninari dovevano essere così ganassa da dover dimostrare di essere sempre in vacanza. Anche in inverno pare raccontassero di passare lunghi periodi a Courma, quando invece erano semplicemente carbonizzati dalle lampade abbronzanti. Pagate dal papi, ovviamente. Già, perchè anche per i genitori concedere dei lussi ai propri figli era motivo di ostentazione di una ricchezza conquistata sul campo, grazie al boom economico e alla frenesia fatturatrice degli anni Ottanta. 

Anche il cibo prediletto, gli hamburger del fast food, sapeva di stelle e strisce, ma in realtà il punto di riferimento era il Burghy di San Babila, una catena italianissima. Forse non tutti sanno che prima invece la punta era al bar Al Panino di Piazza del Liberty, da lì nasce il nome del movimento.

Insomma, sembra una sovranità alimentare con quarant'anni di anticipo e in diversi hanno tentato di bollinare i Paninari con un colore politico. D'altronde la zona di San Babila era nota negli anni Settanta per essere una roccaforte dell'estrema destra. Ma ai veri Paninari fottesega pure della politica. L'importante era apparire e divertirsi tra loro in gruppo. 

Forse è per questo che ancora oggi vengono organizzati raduni periodici, delle feste a tema super divertenti tra vecchi seguaci della moda paninara. Con la pancetta e i capelli brizzolati, sfilano con i loro capi vintage gelosamente custoditi e si divertono ancora. Ecco, rispetto ad altre sottoculture mi stanno simpatici proprio per questo. Conosco gente che si professava metallara, dark, gabber ecc. che oggi veste in giacca e cravatta e va ai concerti di Tiziano Ferro. Che non è un male sia chiaro, ma fare finta di nulla anche no please. Invece i Paninari non rinnegano il passato, ma lo ricordano con gioia e un pizzico di nostalgia per gli anni d'oro. 

Da lì a dire che stanno tornando di moda ne passa di acqua in Darsena.

I gran visir della moda, loro sì, vorrebbero riproporre la cultura paninara. Per fatturare come dei caimani, si intende, visto che si trattava di persone alto spendenti, in grado di influenzarsi a vicenda verso lo svuotamento del conto in banca in nome dello stile. Influencer dei giorni nostri, scansatevi proprio. 

Così puntuali scattano gli identikit del paninaro del nuovo millenio. Vogue addirittura ne definisce l'outfit (T-shirt oversize di Balenciaga, jeans AMIRI e le ultime sneaker acquistate su DROPLIST). Puma e il Milan creano una collezione ad hoc in onore della moda paninara. Hanno pure fatto un sequel di Top Gun sul grande schermo rispolverando il giubbotto di pelle di Maverick. 

Fuori dallo storytelling del marketing, duole dirlo, la realtà suona parecchio diversa. Come vi abbiamo raccontato anche noi, il sei dicembre chiuderà definitivamente i battenti il fast food in zona San Sabila, nel frattempo diventato un McDonald's. Forse senza il panino non può esistere il Paninaro, no?

Come ci insegnano loro però l'importante è lo spirito di appartenenza. Perchè se oggi siamo tutti un po' Imbruttiti è anche perchè qualcuno è stato ed è rimasto Paninaro inside. Wild Boys...Troppo giusto!!!

 

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