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Figa. Tempo di dare una bella notizia al popolo dei riders, che due secondi dopo parte la bastonata. Ci riferiamo alla chiusura di Uber Eats, il colosso americano del delivery, che evidentemente in Italia non è andato benissimo. Va detto, però, che resterà comunque sul territorio con il servizio mobilita. "Il nostro viaggio con Uber Eats è iniziato a Milano nel 2016 - ha raccontato la stessa azienda, nel commiato - Nel corso di questi sette anni abbiamo raggiunto oltre 60 città in tutte le regioni italiane, lavorando con migliaia di ristoranti partner che hanno potuto beneficiare dei nostri servizi per ampliare la loro clientela e le loro opportunità di business, specie in periodi critici come quello dovuto al Covid. In questi sette anni migliaia di corrieri e delivery partner hanno avuto la possibilità di guadagnare attraverso la nostra app in modo facile e immediato". Tutto bello, quindi? Eh, no.

"In questi anni, purtroppo, non siamo cresciuti in linea con le nostre aspettative per garantire un business sostenibile nel lungo periodo. Ecco perché oggi siamo tristi di annunciare che abbiamo preso la difficile decisione di interrompere le nostre operazioni di consegna di cibo in Italia tramite l’app Uber Eats". Certo, spiace. Ma più che altro la domanda sorge spontanea: che fine faranno dipendenti e riders? "Il nostro obiettivo principale - spiegano - è ora quello di fare il possibile per i nostri dipendenti, in conformità con le leggi vigenti, assicurando al contempo una transizione senza problemi per tutti i nostri ristoranti e i corrieri che utilizzano la nostra piattaforma". 

Che poi l'azienda sarà pure spalmata in 60 città, ma alla fine i 40 dipendenti che resteranno a casa sono quasi tutti a Milano. I sindacati, comprensibilmente, non l'hanno presa bene. Anche perché, alla fine, chi ci smena di più in tutta questa situazione sono i riders. "L'azienda americana chiude baracca e burattini per il 15 luglio, è arrivata oggi una comunicazione ufficiale prima ai lavoratori e poi ai sindacati a cui è stata inviata la lettera per l'apertura della procedura di licenziamento collettivo per i dipendenti degli uffici, circa una quarantina di persone. Ai fattorini, invece, non spetta nulla come al solito, essendo formalmente in regime di collaborazione autonoma a ritenuta d'acconto o in partita iva, restano sprovvisti di tutela dal licenziamento e di ogni copertura sociale" ha sbottato il sindacato Deliverance Milano. A scendere in campo a favore dei riders anche la Cisl. "Chiediamo ad Assodelivery, al ministero delle Imprese e al dicastero del Lavoro un incontro per valutare tutte le misure utili a garantire sostegno a chi non ha altre forme di protezione, sostenendo in prospettiva il buon governo del settore attraverso le buone relazioni industriali e l’estensione delle tutele contrattuali a tutti i lavoratori".

Secondo Deliverance Milano la chiusura di Uber Eats è sintomatica di un mercato (quello del delivery) ormai saturo. "Non basta alle multinazionali come Uber, Deliveroo, Glovo o Foodora comprimere al massimo il costo del lavoro e il rischio d'impresa, scaricandolo sulle spalle dei lavoratori attraverso il cottimo, per restare in piedi. Questa è la riprova del fatto che occorre regolamentare al più presto la categoria e incentivare la contrattazione tra le parti sociali per garantire i lavoratori". Qualcosina si sta facendo, ma chiaramente non è abbastanza.

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