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Editorial
milanoduomo

Ormai l'abbiamo capito: Milano o si ama, o si odia. Vie di mezzo non ce ne sono, così come non può esserci indifferenza o assenza di opinione. Il mondo della City si sta definitivamente spaccando tra chi ne elenca difetti e limiti come a voler scoperchiare un intoccabile vaso di Pandora, e chi si erge a strenuo difensore, livoroso e inacidito verso chi ha osato parlar male della sua città. Lo siamo stati (e lo siamo) anche noi eh. Ci parte la vena quando sentiamo parlare della pendolare che - poverina - si fa avanti e indietro da Napoli (che poi era una mezza sòla), o quando c'è l'ennesimo indignato per il prezzo del caffé da Cracco. Due palle. Al di là, però, di questi attacchi ridicoli, ci sono sicuramente questioni più macro e complesse, come è macro e complessa Milano. Diversi giornalisti e voci note stanno raccontando una città sempre più inospitale, estremizzata fra ricchissimi e poverissimi, snob, tossica. La verità, dicevano i vecchi saggi, sta nel mezzo. E nella terra di mezzo, esattamente, cosa c'è? Mentre vi fate un'idea, facciamo un breve riassunto delle puntate precedenti.

Selvaggia Lucarelli ha scritto un lungo articolo per Il Fatto Quotidiano, nel quale racconta di come il suo amore per Milano sia ormai definitivamente tramontato. "Vivo Milano da quattordici anni, sono in affitto e non comprerò casa a Milano - scrive nel pezzo – È una conclusione amara, sulla scia di un disamoramento graduale e malinconico, di quelli da matrimonio sfibrato, in cui vuoi ancora bene a qualcuno, ma non lo ami più. Ecco, io voglio bene a Milano, ma l’incanto è finito". La critica più feroce è stata rivolta ai costi delle case, che siano in affitto o vendita. Ne abbiamo parlato spesso anche noi, specialmente in quest'ultimo periodo. La domanda cresce, i prezzi si gonfiano. E se il centro è ormai diventato un privé di cui solo la riccanza ha il pass, bisogna ammettere che anche alcune zone dell'hinterland stanno cominciando a diventare proibitive.

"Per comprare una casa sui 150 mq a Milano, in una zona fuori dal centro, servono 750/800mila euro", ha scritto Selvaggia Lucarell. Proviamo a fare una ricerchina veloce, molto approssimativa eh, giusto per capire se è il caso di confutare le parole della giornalista. Impostiamo due filtri: almeno 150 metri quadrati di appartamento per un massimo di... toh, 400mila euro. All'interno del Comune (e quindi pure da Ponte Lambro a Quinto Romano, passando per Gratosoglio e Niguarda) spuntano circa una novantina di proposte. Ben poca roba per chi ha anche altre esigenze (zona, piano, ascensore, giardino, cazziemazzi). Ci sono dei loft, delle villette da ristrutturare, qualcosa all'asta, ma pure qualche appartamento dignitoso, per carità. Impossibile quindi? No, ma bisogna avere un margine generosissimo di compromesso. L'è inscì. Certo, va detto che siamo in un periodo storico totally di merda per acquistare casa nella City e che le cifre sono in linea con quelle delle altre grandi capitali europee. Il problema è che, a non essere in linea con le colleghe Parigi o Berlino o Londra sono gli stipendi. Che da noi sono molto più bassi e che quindi nel paragone fanno un cicinin la differenza.

Sulla questione è intervenuto anche Michele Masneri, che sulle pagine del Foglio ha scritto: "È diventato di moda parlar male di Milano, se non la critichi oggi non sei nessuno. Certo il tema c’è, quello solito della città esclusiva, cioè troppo cara, e negli ultimi giorni diversi giornali sono tornati sulla faccenda, nello specifico Corriere e La Stampa. L’assessore alla Casa Pierfrancesco Maran ha detto al primo che servono dei correttivi: bisogna 'ragionare su tutto il tema casa, e non solo sulla casa popolare perché il mercato privato è molto aggressivo, qualcuno sosteneva che si sarebbe regolato da solo, ma questo non sta avvenendo, e dunque il rischio di un effetto espulsione della classe media aumenta'". Il centro (e non solo) di Milano è ad oggi sicuramente inavvicinabile  per studenti e lavoratori dallo stipendio basico, che quindi per restare nella City hanno solo due scelte: accontentarsi di una micro casa o una micro stanza in condivisione, o spostarsi un po' più fuori. Senza andare a Torino eh, non esageriamo.

Altra questione, lo smog. "Vorrei che riuscissero a consolarmi gli slogan rampanti sulla Milano dinamica e lanciata verso il futuro, respiro a pieni polmoni l’aria di novità, ma i polmoni soffrono - ha scritto ancora Selvaggia Lucarelli - Milano è la quinta città più inquinata del mondo, quasi ai livelli di Dhaka, in Bangladesh". Ok, vero. L'aria di Milano è tossica e siamo persino nella top ten delle città più trafficate al mondo.
Il problema dell'inquinamento non deriva solo dal traffico ma anche dalla densità abitativa, dall'elevata industrializzazione e dalla conformazione di un bacino chiuso parzialmente tra Alpi e Appennini. Appare chiaro, quindi, che ridurre il numero di auto non è mai stata la soluzione definitiva.

Parliamo poi del tema gentrificazione, che sempre secondo Selvaggia Lucarelli "è uno dei più grandi inganni a cui sto assistendo da quando vivo qui. C’è una tale fame di case che quartieri che non esistevano o che venivano considerati brutti senza speranza, sono rimasti praticamente identici, ma ribattezzati con nomi glamour (NoLo, per esempio) per illudere la gente di comprare o affittare a prezzi legittimi nelle nuove zone trendy. Un universitario si trova a pagare 700 euro al mese una stanza - una vera e propria rapina - ma accidenti, una stanza nel quartiere Ortica! Bastano due graffiti e una balera per sentirsi nel cuore pulsante della città più europea d’Italia. Per non parlare del nuovo quartiere green Cascina Merlata, vista inceneritore". In questo caso, de según como se mire, todo depende (cit.). Prima di tutto, briffiamo: Wikipedia insegna che la gentrificazione è quel processo che trasforma un quartiere degradato e povero in una zona abitativa di pregio, con conseguente cambiamento della composizione sociale e dei prezzi delle abitazioni. Robe che sono successe (vivaddio) ai Navigli, a Brera, ma anche in Isola o in Paolo Sarpi. Quindi sì, talvolta tutto comincia con un rebranding, che però è affiancato dalla nascita di nuovi locali, dalla riqualificazione degli spazi. Si tratta di un processo lento, che per attirare nuova linfa, nuova gente e nuovi soldi fa leva anche sulla forza trainante della moda e dell'hype. E che male c'è?

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